Il ritiro dei ghiacciai potrebbe creare nuovi ecosistemi entro il 2100
Un team franco-svizzero ha studiato un modello in grado di prevedere l’evoluzione dei nevai e dei nuovi habitat che potrebbero generarsi
Il ritiro dei ghiacciai potrebbe dare origine a nuovi ecosistemi, coprendo un’area che va dalle dimensioni del Nepal a quelle della Finlandia entro il 2100.
Secondo uno studio appena pubblicato su “Nature” da un team di ricercatori franco-svizzeri, i nuovi ecosistemi avranno un ruolo di primo piano nella lotta al cambiamento climatico, ma anche in sfide cruciali come la degradazione degli habitat e la scarsità d’acqua.
Gli habitat emergenti, spiegano gli scienziati, sono già in pericolo: soltanto la metà delle aree glaciali del pianeta si trovano in zona protetta, e questo avrà delle conseguenze anche sugli ecosistemi che prenderanno il posto dei ghiacciai.
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Se non si considerano le calotte di Antartide e Groenlandia, i ghiacciai alpini attualmente ricoprono circa 650.000 chilometri quadrati, fornendo acqua a quasi due miliardi di persone e a ecosistemi diversissimi in tutto il mondo.
Sappiamo che si stanno ritirando a una velocità allarmante, a causa dell’inquinamento causato dall’uomo, ma come si legge nella ricerca appena pubblicata sulla prestigiosa rivista “non esiste ancora un’analisi globale completa capace di quantificare o anticipare questi importanti cambiamenti”.
Così Jean-Baptiste Bosson dell’Agenzia per la Conservazione della Natura dell’Alta Savoia e Matthias Huss dell’Istituto Federale di Ricerca per la Foresta, la Neve e il Paesaggio (WSL) hanno sviluppato un modello di evoluzione globale di questi ghiacciai per prevederne il comportamento da qui al 2100.
Secondo le previsioni del nuovo modello, il ritiro dei ghiacciai proseguirà allo stesso ritmo fino al 2040, e questo in tutti gli scenari climatici ipotizzati. Come a dire: agire su questo è ormai al di fuori della nostra portata.
Dal 2040 in poi, però, le stime cambiano in base all’andamento delle emissioni globali: nello scenario peggiore, quello ad alte emissioni, il pianeta perderà circa la metà dei ghiacciai censiti nel 2020. Se riusciremo ad abbattere le emissioni globali, la perdita potrebbe ridursi di circa un quinto.
Nello scenario ad alte emissioni, si legge nello studio, la perdita dei ghiacciai sarà più marcata sulle montagne a bassa e media latitudine, come quelle dell’Europa Centrale e le Ande: qui soltanto il 5-20 per cento dei ghiacciai supererà il 2100.
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Nuovi ecosistemi terrestri, marini e d’acqua dolce
L’aumento delle temperature potrebbe ridurre l’area coperta dai ghiacciai di almeno un quinto entro la fine di questo secolo, esponendo aree incredibilmente vaste che rivedranno la luce per la prima volta dopo migliaia di anni. E su quelle terre emerse, e nelle nuove profondità marine, si formeranno nuovi habitat.
Secondo i risultati della ricerca, anche nello scenario più ottimistico il ritiro dei ghiacciai lascerà scoperta un’area grande almeno il doppio dell’Irlanda entro la fine del secolo. Nel peggiore dei casi, le nuove “terre emerse” potrebbero essere fino al doppio.
“Questo potrebbe essere uno dei più grandi spostamenti ecologici ad avvenire sul nostro pianeta”, afferma il glaciologo Jean-Baptiste Bosson, il primo autore dello studio.
“Entro il 2100”, si legge nell’articolato documento, “il ritiro dei ghiacciai al di fuori delle calotte di Antartide e Groenlandia potrebbe produrre nuovi ecosistemi terrestri, marini e d’acqua dolce”.
In queste aree deglaciate, continuano gli scienziati, “gli ecosistemi emergenti saranno caratterizzati da condizioni ecologiche estreme oppure più stabili”.
Potrebbero offrire rifugio alle specie ben adattate al freddo i cui habitat si stanno perdendo, oppure “favorire la produttività primaria” (cioè la produzione di materia organica tramite fotosintesi) e la sussistenza di specie generaliste, che hanno una nicchia ecologica molto più ampia.
Il modello elaborato dal team franco-svizzero classifica gli habitat emergenti in ecosistemi terrestri, marini e d’acqua dolce, e fa anche una stima della loro distribuzione.
Si prevede che i nuovi ecosistemi saranno per il 78 per cento terrestri, per il 14 per cento marini e per l’8 per cento d’acqua dolce.
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Ecosistemi post-glaciali: nuovi habitat da proteggere
Come si legge nella ricerca, l’emersione di nuove terre potrebbe sequestrare da 45 a 85 tonnellate di anidride carbonica nel corso del 21esimo secolo, contribuendo alla cattura delle emissioni come potrebbe fare una foresta pluviale di 10.600 chilometri quadrati.
Questo, secondo gli scienziati “evidenzia sin da subito il ruolo sempre più importante degli ecosistemi post-glaciali come pozzi di assorbimento del carbonio”.
Resta il fatto che i nuovi ecosistemi raccoglieranno una quantità limitata d’acqua, imparagonabile a quella contenuta nei ghiacciai, che oggi ne conservano 135.000 chilometri cubici. Insomma, lo spostamento ecologico sarà imponente.
Saranno soprattutto le acque dolci e gli habitat costieri ad essere modificati o degradati per effetto del ritiro dei ghiacciai, si legge nella ricerca.
Gli ecosistemi post-glaciali, ad ogni modo, “rappresenteranno dei rari habitat incontaminati”.
Lo studio fa anche una previsione piuttosto precisa dell’evoluzione di questi ecosistemi emergenti nelle diverse aree del pianeta. Il modello elaborato dal team di Bosson e Huss prevede sempre due scenari diversi: quello ad alte emissioni, che condurrà inevitabilmente all’estinzione dei ghiacciai, e quello a basse emissioni.
Le azioni contro il cambiamento climatico possono cambiare le sorti del pianeta, e lo si vede bene anche studiando l’evoluzione dei nuovi habitat.
“Vogliamo sottolineare la necessità di agire immediatamente e con urgenza per mitigare il cambiamento climatico e per proteggere questi ecosistemi”, si legge nello studio, “per custodire la loro esistenza, la loro funzione e il loro valore”.
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In uno scenario a basse emissioni, a dominare le aree deglaciate da qui al 2100 saranno condizioni ecologiche classificabili da estreme a intermedie.
Nel Canada artico, nelle periferie della Groenlandia e sulle alte cime asiatiche questo tipo di habitat sarà comunque preponderante, a prescindere dallo scenario considerato.
“In parallelo ai rimanenti ghiacciai per le specie specializzate”, si legge nello studio, “gli ecosistemi post-glaciali, nei quali le successioni primarie avverranno inizialmente in condizioni di scarsità di nutrienti, offriranno nuovi habitat e rifugi per le specie vulnerabili che dipendono dal freddo o per quelle oligotrofiche”, cioè quelle che vivono negli ambienti acquatici caratterizzati da povertà di sostanze nutritive disciolte, come il Salmone del Pacifico.
Al contrario, gli ecosistemi post-glaciali che si creeranno intorno all’Islanda, alle Ande e in Nuova Zelanda potrebbero essere perlopiù caratterizzati da condizioni intermedie, “cosa che limiterebbe le possibilità di sopravvivenza delle specie criofile, incluse quelle endemiche”.
Nelle zone in cui l’estensione dei ghiacciai supera la linea degli alberi, come sulle Rocky Mountains o sulle nostre Alpi, “le foreste primarie potrebbero svilupparsi rapidamente in un’area di 103-104 km quadrati di terre emerse” e contribuire a controbilanciare le perdite collegate a cambiamento climatico e deforestazione.
Questi nuovi habitat, inevitabilmente incontaminati, cambieranno in fretta, e avranno un loro ruolo nelle sfide globali più urgenti, dal cambiamento climatico alla scarsità d’acqua.
Secondo gli autori dello studio, non basterà fare tutto il possibile per limitare il ritiro dei ghiacciai. Sarà presto necessario concentrare risorse e attenzione sulla protezione di questi ecosistemi emergenti per garantirne il futuro.
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